domenica 12 aprile 2015

LA FOBIA DEL COMPLOTTO

L'aereo della Germanwings recentemente precipitato sulle montagne francesi non è stato intenzionalmente fatto schiantare dal pilota, Andreas Lubitz, ma è stato abbattuto da un missile. Lo sapevate? L'attentato alla sede di Charlie Hebdo non è stato compiuto dalla furia omicida e dal fanatismo di alcuni squilibrati bensì è frutto di un piano dei governi occidentali per rafforzare l'odio nei confronti del mondo islamico in vista di una futura azione militare. Lo sapevate? E lo sapete che Barack Obama in realtà non è americano, ma ha falsificato il proprio atto di nascita per potersi infiltrare all'interno del governo americano? In realtà è un comunista o un rettiliano, a voi la scelta.
Potrei riempire intere pagine di questo blog elencando tutte le principali teorie complottiste degli ultimi anni, passando dalle torri gemelle, ai big pharma, ai Kennedy, a Elvis e Paul McCartney senza dimenticare alieni, scie chimiche e i sionisti.

Non è mio interesse analizzare nei dettagli il contenuto di queste teorie argomentando, a favore o contro, per cercare di dimostrarne la falsità o la fondatezza. In parte perché la maggior parte di queste teorie sono semplicemente sciocchezze, e in parte perché ciò che mi interessa è approfondire un interrogativo che sta suscitando discreto interesse in ambito sociologico e psicologico. Perché crediamo così facilmente ai complotti?

Oramai qualunque evento di cronaca, qualsiasi evento eccezionale, violento o naturale che sia, viene immediatamente accompagnato da una versione “non ufficiale” che si oppone a tutte le ricostruzioni della stampa e dei media. Queste teorie non ufficiali, alcune molto fantasiose e divertenti altre più realistiche, attraggono e convincono immediatamente milioni di persone senza dover nemmeno portare l'onore della prova.


Quando parlo di milioni non pensate che stia esagerando. Sono finiti i tempi in cui il complottista era un hippie squinternato in qualche baracca dell'Arizona. Il numero delle persone che crede ai complotti è realmente molto più alto di quello che pensiamo. Secondo una ricerca dell'Università di Miami, condotta da J. E. Uscinsky e J. M. Parent, circa un terzo degli americani, ad esempio, crede che l'11 settembre sia stato organizzato dal governo americano o che Obama abbia realmente falsificato il proprio certificato di nascita. Queste ricerche hanno anche evidenziato come queste teorie riescano ad attrarre persone di diversa estrazione sociale e culturale. Anche il credo politico risulta piuttosto indifferente. Le persone di sinistra sono più inclini a credere che i media e i partiti siano l'espressione della volontà di potenti corporazioni segrete e capitaliste; i conservatori, invece, ritengono che ci sia una cospirazione giudaico-comunista che vuole impedire il predominio americano. Inoltre se si crede ad un complotto si è portati a credere anche a tutti gli altri.

Perché quindi ci crediamo? Alcuni ritengono che sia il più banale dei meccanismi di difesa. Non riuscendo a trovare una spiegazione per gli eventi così imprevedibili e spaventosi della realtà ipotizzo un sistema, segreto, che renda ragione delle proprie azioni in maniera (occidentalmente) razionale: il potere o il denaro. Altri pensano sia frutto dell'immaginazione e della fantasia di qualche squilibrato che, sfruttando le paure e l'ignoranza delle persone, riesca a lucrare su questi argomenti.

Quella che ritengo essere una spiegazione del fenomeno è che esso non sia altro che la propagazione di un sistema narrativo che è figlio del nuovo, e piuttosto recente, movimento anti-scientista (di cui parlerò prossimamente). Queste teorie, infatti, lungi dal fornire prove accettate dalla comunità scientifica internazionale fondano la loro retorica e traggono la loro forza proprio sul rifiuto, da parte della comunità scientifica, delle stesse teorie e dall'opposizione che conseguentemente ne nasce. Inoltre permettono, a chi legge gli articoli, di porsi in una posizione di autoaffermazione intellettuale utilizzando come strumento retorico l'opposizione con gli stolti, i “dormienti” di cui la storia della filosofia è piena. In altre parole, se non la pensi come loro diventi automaticamente una vittima, o un complice, del sistema complottistico.


Molte di queste teorie si fondano sull'assunto, piuttosto generalista e storicamente non troppo ricorrente, che molte scoperte scientifiche furono ritenute false al momento della loro prima pubblicazione. Il paradosso si crea quando questi individui aspirano a entrare a far parte, rivoluzionandolo, proprio del sistema di credenze che criticano e che ritengono responsabile del male all'interno della società.
Troppo spesso le teorie cospiratorie incorrono in errori macroscopici. È molto comune individuare una sorta di retorica dell'argomento perverso, teorizzata da Hirschmann, che permette loro di individuare i nemici, e le conseguenze, che a priori già ricercavano. Questo spiega perché siano sempre i servizi segreti Russi, Americani o Israeliani i colpevoli. Mai una volta che siano gli svedesi! Un altro punto molto controverso di queste teorie è la difficoltà con cui complotti di queste dimensioni dovrebbero rimanere segreti. George Simmel, ne “La Sociologia del Segreto”, ha dimostrato come un segreto può essere mantenuto da un numero molto ristretto di persone, al massimo qualche centinaio. Un segreto che coinvolge migliaia di persone è statisticamente impossibile rimanga effettivamente tale. Inoltre tutte queste teorie mostrano un enorme sopravvalutazione della capacità di controllo, comprensione e previsione umana. Ogni evento viene interpretato a posteriori, e successivamente portato come prova, diventando parte di una catena di eventi ininterrotta che dovrebbe condurre, senza alternativa, ad un evento anche molto distante nel tempo. Nessun uomo è in grado di prevedere il futuro, specialmente se questo include le azioni di altre persone.

Criticare quello che Eco definisce come “fobia del complotto” non significa affermare che non possano esserci complotti, che nel corso della storia si sono sempre verificati, né tantomeno ritenere che non esistano entità, politico economiche, che perseguono indiscriminatamente i loro interessi. E non significa rinunciare a farsi domande accettando per vero tutto ciò che i media e i governi ci propinano. Criticare la fobia del complotto significa sottolineare ancora una volta l'importanza di un pensiero critico che abbia in primo luogo la necessità di sviluppare un metodo che sia coerente, preciso, che non sia costretto a ricorrere a fantasiose congetture per dimostrare la propria tesi. Un metodo che sia, in poche parole, semplicemente scientifico.



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